“La
crisi che stiamo vivendo, esplosa con il fallimento della
Lehman-Brothers negli Stati Uniti, è giunta ormai a quello che molti economisti
ed esperti del settore definiscono il terzo atto: dagli iniziali piani di
salvataggio delle banche, ai piani di stimolo fiscale, agli attuali piani di
austerità”, a cui il nostro Paese ha aderito convintamente con l’attenuante
mediatico del forte debito pubblico che ci impediva scelte diverse. Tale processo ha ormai raggiunto direttamente
le condizioni concrete di vita e di lavoro degli italiani.
Se ci soffermiamo ad analizzare bene
la crisi ci accorgiamo che vi sono due forti temi su cui concentrare la nostra
attenzione: il primo riguarda l’eccesso di capacità produttiva
presente nel sistema; il secondo
l’incidenza che i singoli passaggi della crisi hanno avuto tra le diverse aree
geografiche e le diverse classi sociali.
Pertanto, se si tratta come io credo,
di una crisi da sovrapproduzione, questa apre due enormi questioni: la prima in
merito alla distribuzione del reddito, la
seconda in merito all'attività
produttiva.
In particolare va sottolineato come le
diseguaglianze sociali prodotte da questa distribuzione del reddito abbiano
determinato ed inciso fortemente sull'insufficienza della domanda e sul livello
della domanda stessa, mentre gli errori di previsione delle imprese nelle
strategie di investimento su larga scala oltre che il come la produzione si è
formata hanno inciso fortemente sull’eccesso di capacità produttiva.
Se questo è, l’irrompere della crisi
da sovrapproduzione manda in mille pezzi la grande costruzione egemonica del
mercato che si autoregola che ha sostanziato le politiche del laissez-faire.
È necessario riconsiderare l'analisi
di grandi pensatori dell'economia della crisi, come Keynes, Schumpeter, lo
stesso Marx e altri, cioè di coloro che consideravano proprio il capitalismo
instabile e soggetto alle crisi, un procedere per cicli, che ha bisogno
dell’azione regolatrice dello Stato e degli Enti locali.
“Globalizzazione e innovazione tecnologica
sono andate in questi anni di pari passo, rafforzandosi a vicenda. Ciò ha
permesso il pieno dispiegamento dei movimenti dei capitali, ma mentre la
finanza si è globalizzata, la sua regolamentazione è rimasta una questione
nazionale”. Condivido questo pensiero espresso da diversi economisti poiché
esso rappresenta uno dei veri problemi da affrontare.
Le politiche di austerità sono le più
adatte per smaltire l’eccesso di capacità produttiva oltre che oscurare le
responsabilità di chi questa crisi l'ha prodotta, ma non risolvono il problema:
bisogna immaginare e costruire un nuovo modello di sviluppo.
Una economia che purtroppo è passata
dalla fase di stagnazione ad una di conclamata recessione e che vive
innanzitutto un problema di domanda aggregata. Forte riduzione della domanda di
beni di consumo, determinata soprattutto dal basso reddito pro capite unito ad
un livello dei prezzi non certo in contrazione, ma soprattutto riduzione della
domanda di beni di investimento. E’ proprio in tale ambito che si evidenzia la
forte carenza e la necessità di procedere alla costruzione dell’Europa
politica. Infatti in una simile situazione diventa indispensabile porre in
essere delle politiche fiscali e monetarie assolutamente sincronizzate e
coerenti. Bisogna poter incidere sulle scelte di politica monetaria, una volta
in capo alle singole banche centrali nazionali, oggi invece decise dalla Banca
Centrale Europea. Ed ecco la discrasia, politica monetaria decisa a livello
europeo politiche fiscali decise a livello nazionale. E’ di qualche giorno fa
l’ultimo vertice dei Paesi Europei proprio per affrontare tali temi.

Purtroppo l'appuntamento dei mesi
scorsi a Toronto, ha deluso tutte le aspettative riconoscendo ancora una volta,
Il potere assoluto della finanza. Tutti attendevano risposte diverse, ma di
fatto la riconferma dei meccanismi
essenziali che oggi regolano la grande finanza, lasciano intatti i fattori che
hanno provocato la crisi. Abbiamo di fronte anni duri e potremo affrontarli solo mettendo al centro il grande
tema di un nuovo modello di sviluppo economico unito al grande tema della
riforma delle istituzioni europee ed internazionali per governarlo. Abbiamo
estrema urgenza di costruire l’Europa dei popoli.
L’aumento delle disuguaglianze indotte
dalle politiche liberiste e di deregolamentazione ha portato all’aumento dei
poveri e dei nuovi poveri. Tutto ciò non
può lasciarci indifferenti perché questo sta accadendo e sta coinvolgendo anche
noi, il nostro paese, la nostra città, questa amministrazione.
Se
questo è il quadro internazionale il nostro Paese si inserisce perfettamente
all’interno di tale contesto, il Governo Monti sotto le mentite spoglie di un
Governo tecnico sta di fatto mettendo in campo politiche economiche esattamente
in linea con il contesto europeo ed internazionale. Siamo anche in Italia alla
piena attuazione della fase tre per affrontare la crisi: politiche di forte
austerità. Il problema ritorna a bomba chi
questa crisi l’ha prodotta e chi invece questa crisi la sta pagando. Il
Governo Monti, in perfetta sintonia con quello Berlusconi che lo ha preceduto,
ha proseguito l’azione di riduzione delle risorse a disposizione degli Enti
Locali al fine di rientrare dal Debito Pubblico. Ritengo che politiche di forte
austerità condotte con tagli lineari senza avere la capacità e soprattutto la
volontà di porre in essere azioni davvero efficaci ed efficienti finiscono per
danneggiare tutto e tutti senza colpire i veri sprechi e le vere inefficienze
che pure vi sono e sono tante nella Pubblica Amministrazione Italiana.
Dalla crisi si uscirà, il problema
rimane come e quando. Abbiamo l'occasione di costruire un nuovo modello
economico sociale più giusto e più sano.
Il Capogruppo
Dr. Nicola Giansanti
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