La donna nelle istituzioni politiche
di Rionero in Vulture
Palazzo Fortunato – Biblioteca
Sabato 17/03/2012
E’ per me un onore immenso portare il mio modestissimo contributo alla splendida discussione di questa sera, ma allo stesso tempo è assolutamente complicato ed arduo. Complicato ed arduo per diversi ordini di ragioni facilmente immaginabili, ma anche e soprattutto per il momento storico, sociale e politico che viviamo.
Anche sulle tematiche affrontate questa sera, profonde sono le contraddizioni, se guardiamo ed analizziamo i dati statistici forse scopriamo che la presenza nelle istituzioni e nel mondo del lavoro da parte delle donne è oggi ai massimi storici, soprattutto in riferimento alle posizioni apicali e di comando, ma allo stesso tempo nell’immaginario collettivo spesso c’è il paradigma successo –bellezza- compromessi, e certo le vicende parlamentari, e non, degli ultimi anni non facilitano il compito di chi vuol dimostrare il contrario debellando il concetto della donna oggetto.
Penso inoltre che la tematica posta al centro dell’attenzione questa sera è molto simile ed affine, con le dovute distinzioni e peculiarità ad un’altra che forse motiva la richiesta fattami dalla Presidente di partecipare al dibattito di questa sera: i giovani e la politica.
Prima di entrare nel cuore dell’argomento penso sia opportuno chiarire, almeno per me, cos’è la politica, cosa significa fare politica, perché fare politica.
Ovviamente le tre domande poste richiederebbero un’analisi molto ampia ma in prima approssimazione possiamo sicuramente partire da alcuni assunti che dovrebbero vederci tutti d’accordo.
Cos’è la politica.
Il termine politica deriva dal greco pólis (città-Stato) per indicare l'insieme delle cose della "città", gli affari pubblici (res publica) e, insieme, la conoscenza della cosa pubblica e l'arte del loro governo. Quindi originariamente e in senso proprio la politica non indica l'esercizio di un potere qualsiasi sugli uomini, ma, già con Aristotele, solo quel tipo di potere che esercitandosi su uomini liberi e uguali si fonda sul loro consenso e ha per fine il bene non solo dei governanti, ma anche dei governati. La politica è stata considerata (per esempio, da Aristotele e Tommaso d'Aquino) come una dimensione naturale dell'uomo, la sola che garantisce le condizioni entro cui può realizzarsi la pienezza della vita umana.
Politica come "arte di governare la società". Oppure “la sfera delle decisioni collettive sovrane”, “l’arte di costituire, organizzare, amministrare lo Stato e di dirigere la vita pubblica”. Comunque la si voglia intendere, certo è che nessun fatto di vita si sottrae alla politica.
Cosa significa fare politica. Per me fare politica significa mettersi a disposizione della collettività, dare il proprio contributo culturale, intellettuale, professionale al fine della crescita collettiva di una comunità. La politica deve essere mero servizio civile. Passione e altruismo.
Perché fare politica.
Perché non fare politica; se la politica si occupa di gestire e amministrare la cosa pubblica allora la politica gestisce ed amministrare qualcosa che è anche mio ed in quanto tale anche io ho il dovere di contribuire alla elaborazione di linee politiche capaci di creare sviluppo e crescita per la mia collettività e quindi per il mio benessere (non mio personale ma mio cittadino genericamente inteso). Quotidianamente ognuno di noi pone in essere azioni tendenti a migliorare il proprio futuro e della propria famiglia pertanto non può in tale ambito di azione non considerare che parte del proprio futuro è condizionato dalle scelte della pubblica amministrazione.
Mi viene in mente una frase del recente film Qualunquemente di Antonio Albanese, “Non sono le donne che devono entrare in politica, è la politica che deve entrare nelle donne”. Per quanto nel contesto cinematografico è usata con tutt’altra accezione, nella giusta interpretazione racchiude l’essenza del mio pensiero. Perché la politica deve diventare un impegno comune, deve diventare qualcosa di normale.
Ciò detto fare politica non significa solo ricoprire ruoli e funzioni istituzionali, anzi, fare politica significa partecipare, incidere, influenzare le scelte istituzionali, controllando quotidianamente l’operato di chi opera nelle istituzioni. Bisogna abbattere il concetto della delega in bianco data agli eletti.
Oggi viviamo uno dei momenti storici di maggiore crisi del sistema politico, almeno come tradizionalmente inteso.
La fiducia nei partiti è scesa ai minimi storici, solo il 5 per cento degli italiani crede che i partiti possano ancora rappresentare le proprie istanze. Se questo è vero, ritengo però che non si possa immaginare un sistema democratico senza organizzazioni capaci di garantire ampia partecipazione basata sul confronto dialettico quotidiano. Per tale ragione non mi appassionano le nomenclature, non chiamiamoli partiti, ma non possiamo non lavorare per individuare e costruire luoghi di aggregazione capaci di elaborare progettualità e strategie idonee a creare sviluppo e soprattutto che siano palestre capaci di forgiare e selezionare le classi dirigenti del futuro uomini o donne che siano.
Non abbiamo bisogno di bravi tecnici prestati alla politica ma di bravi politici coadiuvati da bravi tecnici.
A questo si aggiungono storture tutte italiane, come ad esempio una legge elettorale che consente a strette oligarchie (le segreterie dei partiti) di nominare propri adepti, che in quanto nominati risponderanno solo ed esclusivamente a logiche che a voler esser buoni possiamo definire sicuramente poco democratiche e che certo non facilita percorsi di integrazione ed emancipazione del ruolo della donna e dei giovani in politica.
Di fatto il sistema elettorale di tipo maggioritario di per sé tende ad escludere forze politiche minori, dove spesso trovano maggior rappresentanza proprio i giovani e le donne, che oggi invece si trovano ai margini della politica.
Nelle strutture politiche di base, come i partiti ed i sindacati, non essendo le donne presenti in misura considerevole, non si crea un movimento politico al femminile, capace di costituirsi come punto di riferimento per le elettrici e le elette.
Se non cambiamo questo sistema si andrà sempre più verso logiche che privilegiano gli interesse di lobby economiche e culturali egemoni che lavorano per la emarginazione dei giovani e delle donne in particolare dalla politica ma più in generale per allontanare le masse, i cittadini comuni dai luoghi di potere democratico.
Premesso che bisogna eliminare qualsiasi pregiudizio culturale ed ideologico per affrontare con serenità e maturità un tema così ostico, vi è da affermare con forza e convinzione che lo sviluppo umano sin qui raggiunto è stato possibile grazie al combinarsi sinergico di tutte le energie disponibili senza distinzione di genere, di razza e di età. Solo grazie al consapevole ruolo sociale di ognuna delle componenti in campo si è potuto raggiungere gli attuali livelli di emancipazione sociale.
Inoltre va rilevato che le donne, hanno una forza misteriosa che le aiuta a superare tutte le difficoltà che la vita mette loro davanti, la stessa forza che le aiuta a vivere serenamente la loro esistenza, spesso con il sorriso, perché non c’è niente di più bello del sorriso di una donna, del conforto che una donna può offrire al proprio uomo, o al proprio figlio.
Per troppi anni però le donne hanno messo a disposizione questa forza solo nell’ambito familiare, senza occuparsi minimamente della vita politica, di ciò che succedeva nella propria nazione, nella propria regione o nella propria città.
Cominciamo col chiederci: perché è così difficile la piena partecipazione della donna alla vita sociale e politica?
Non certo per una sua immutabile proprietà naturale. All’origine del "fatto" c'è un dato storico, c'è il ruolo sociale assegnato alla donna da millenni: quello di essere rinchiusa in casa, a occuparsi dei figli, della vita domestica e dei desiderata sessuali dell'uomo.
Dobbiamo lavorare affinchè l'economia domestica, la vera palla al piede della donna, sia trasformata in servizio pubblico e la maternità oltre che il ruolo sociale della donna all’interno del nucleo familiare, diventino la più alta delle funzioni sociali, non più in contrasto con la partecipazione della donna al lavoro produttivo generale. Le condizioni materiali per operare un rivolgimento del genere esistono già oggi.
Ritengo che la società occidentale ha permesso l'inserimento nel lavoro extra-domestico solo a una parte delle donne. Un gran numero di esse rimane in casa e spende tutte le sue energie -fisiche e spirituali- nella sfiancante ripetizione dei lavori domestici oltre che nell’alto ruolo sociale di educatrice e formatrice della propria prole.
La donna che lavora fuori casa, poi, non per questo ha una piena vita sociale: quando esce dalla fabbrica o dall'ufficio, inizia il suo lavoro domestico. Un lavoro che fa gravare sulle sue spalle non solo i "doveri pratici" connessi alle cure famigliari, ma anche quelli "morali": preoccupazioni e attenzioni per quello che accade ai figli e al marito, cura delle "public relations" con parenti e amici, etc..
In un simile quadro, come può la donna, lavoratrice o no che sia, sviluppare pienamente la propria personalità umana o darsi all’impegno politico? Come può "staccare" da un simile lavoro full time e concentrarsi su un impegno "esterno" alla famiglia?
Oggi vige ancora l’assunto per cui: l'uomo è finalizzato alla vita sociale, la donna -su tutti i piani- è finalizzata alla vita sociale dell'uomo.
Questo aspetto della divisione sociale del lavoro produce automaticamente la marginalizzazione della donna dalla vita politica o la sua collocazione in incarichi che si suppongono più confacenti alla sua natura sessuale. L'espediente delle "quote rosa" fissate per legge (legge 125/91), anzichè promuovere la partecipazione della donna all'attività politica, serve appunto a ratificare questa realtà, ad azzerare il protagonismo politico delle donne e ad inserirle nell'organizzazione-partito in posizione subordinata.
Così, anche quando è in grado di spezzare i vincoli domestici che la trattengono e si inserisce in modo non subordinato nell’attività di un’associazione o di un partito politico alla donna viene delegata la rappresentanza della "specificità" in una chiave tutta strumentale al procacciamento del consenso dell'universo femminile e per di più, se ella vuole farlo ai "massimi livelli", è di fatto spinta ad assumere metodi e comportamenti propri dell’universo maschile.
Allora che fare? Il mio modesto pensiero mi porta ad affermare che bisogna enfatizzare le differenze di partenza e, attraverso un'attività pianificata, lavorare nella direzione di scardinare pregiudizi e classificazioni sulla base delle quali l’uomo è capace e specializzato e la donna soggetto esecutrice a lui sottoposta. Questo significa che, con adeguate misure, si tratta di lavorare per promuovere e rendere più qualificata la partecipazione della donna alla vita politica.
Si tratta di sensibilizzare su questo tema l’opinione pubblica, e modificare una cultura politica che, ancora oggi, considera l’uomo il legittimo protagonista della gestione dello Stato.
Questo significa mettere in campo un’azione innanzitutto culturale oltre che antropologica tesa a modificare le attuali concezioni sui ruoli sociali all’interno della nostra società.
In più, occorrono delle misure concrete che promuovano la partecipazione politica delle donne.
Bisogna creare le condizioni per cui la società si faccia carico di offrire sempre maggiori servizi sociali sia in campo formativo e pedagogico oltre che strutture in grado di offrire servizi idonei alle mutate esigenze collettive. Solo in tal modo si potrà liberare la donna dal carico di aspettative ed incombenze interne al nucleo familiare è indispensabile attuare un gioco di squadra a tutti i livelli partendo proprio dalla società primordiale e cioè la famiglia.
Qualcuno in passato ha affermato che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna. Frase che riassume esattamente il ruolo di subalternità a cui facevo riferimento prima. Io invertirei i termini e direi che è arrivato il momento di cominciare ad affermare anche il contrario, poiché i grandi risultati si raggiungono solo se scende in campo una grande squadra, a partire da quella rappresentata dal proprio nucleo familiare. Una squadra in cui ognuno ha un ruolo ben definito, scelto liberamente e unanimemente condiviso, capace di esplicitare le potenzialità e soddisfare le ambizioni di ogni componente della squadra stessa.
Per costruire una società basata sulle pari opportunità per l’uomo e la donna, bisognerebbe puntare i riflettori proprio sull’uomo e la donna, partire da questi due nuclei distinti ed indissolubili, per un futuro di sostanziale eguaglianza.
In questa direzione si possono promuovere sondaggi, osservatori statistici, i cui risultati dovrebbero essere divulgati periodicamente.- Organizzare convegni e conferenze, che siano critici e propositivi, così da dare al cambiamento una direzione, che sia quanto più possibile vicina alle esigenze della popolazione.
Accanto a queste iniziative, che incidono sul piano culturale, bisogna mettere in campo progetti anche sul piano legislativo, ma soprattutto vi è la necessità di porre in essere azioni positive svolte in primis dai partiti tese a favorire la partecipazione attiva delle donne , coadiuvandole nell’espletamento delle loro funzioni e del loro mandato, solo in tal modo le donne potranno essere più presenti nella vita politica.
Pertanto, io credo che le donne e i giovani di questo Paese devono comprendere che bisogna essere parte attiva della vita politica, bisogna riappropriarsi degli spazi democratici esigendoli e conquistandoli con il protagonismo attivo, perché sono convinto che anche in questo ambito nessuno è disposto a cedere rendite di posizione.
Una donna come un giovane deve sapere di potere essere protagonista della vita politica, della vita professionale, della vita sociale e della vita familiare, e deve essere consapevole di poter essere tutto questo attraverso l’agire quotidiano teso ad affermare il proprio essere.
Concludo citando Betty Naomi Friedan una attivista statunitense, teorica del movimento femminista degli anni sessanta e settanta. Nel 1963 scrisse il saggio La mistica della femminilità, nel quale fu la cronista del malessere delle donne americane degli anni cinquanta, anni nei quali dominava la mistica della femminilità (marito, figli, casa). Ella scriveva:
“Una ragazza non dovrebbe aspettarsi speciali privilegi per il suo sesso, ma neppure dovrebbe adattarsi al pregiudizio e alla discriminazione. Deve imparare a competere... non in quanto donna, ma in quanto essere umano”.
Nicola GIANSANTI
Nessun commento:
Posta un commento